Dici Calabria e pensi al Cirò, dici Cirò e pensi a Librandi, che fra le aziende di vino calabresi è sicuramente la più importante, perlomeno in termini di volumi prodotti e venduti. E se è vero com’è vero che il sommelier deve calarsi nella realtà che lo circonda senza isolarsi in una sorta di mondo parallelo abitato solo da “eno-fighetti”, degustare periodicamente i vini più “commerciali” che arrivano sugli scaffali della GDO è condizione imprescindibile per comprendere al meglio l’immagine che il “consumatore medio” ha delle denominazioni di cui tanto spesso e con tanta passione parliamo. Perché perorare la causa dei tanti piccoli produttori che anche in Calabria iniziano a produrre bottiglie di notevole spessore e interesse è giusto e doveroso, ma se perdiamo di vista il fatto che alla fine, spesso, sulle tavole italiane finisce altro, avremo una visione della questione decisamente ed inevitabilmente deformata.
Eccoci quindi alle prese con questa Riserva 2011 “Duca San Felice” Classico Superiore, che alla vista si presenta di un colore granato chiaro e trasparente con un’unghia che vira verso l’aranciato, tonalità tipica per i vini prodotti da uve Gaglioppo, vitigno principe della costa ionica notoriamente scarico di antociani.
Sulle calde coste cirotane, dove lo spirare incessante dei venti limita la formazione delle muffe in vigna, la raccolta delle uve viene spesso un po’ anticipata, per evitare che il vino risulti eccessivamente marmellatoso. Le vigne più antiche di tutta la Calabria sono ubicate nella frazione di Feudo, nel comune di Campolibero, mentre la zona più vocata risulta dislocata attorno alla fiumara di Lipuda.
All’olfatto l’impatto non è particolarmente pulito, caratteristica che accomuna troppo spesso i produttori calabresi e che conferma come sul punto sia necessario ancora lavorare molto, affinché sul mercato escano finalmente prodotti impeccabili sotto ogni punto di vista. Facendo respirare il vino nel bicchiere, tuttavia, la situazione migliora, lasciando spazio a note di frutta rossa matura e potpourri a cui fanno da sfondo sentori terrosi, ematici, speziati e minerali.
Uno spettro olfattivo, quindi, di grande e fascinosa complessità quello del Duca San Felice, nonostante l’azienda si limiti ad affinare il prodotto in acciaio senza alcun utilizzo di legno. All'esame gustativo il vino trasfigura in un caldo pocket coffee di buona persistenza e buona freschezza: a sei anni dalla vendemmia la bottiglia si mostra già prossima al culmine della propria maturità, con un tannino levigato che presto lascerà presumibilmente spazio alle prime note polverose.
L'impressione che se ne ricava alla fine è quella di un prodotto più semplice ed immediato rispetto a quelli di produttori come Francesco De Franco, Sergio Arcuri e Cataldo Calabretta, i cui Cirò stanno ottenendo sempre maggiori riconoscimenti grazie ad una complessità ed uno stile che ricordano talvolta alcuni Nebbioli piemontesi.
classe 1980, bancario frustrato, eno-appassionato convinto, docente.